Il monastero di S. Croce sorge alla metà del XII secolo alla montagna di Sepino quale fondazione privata dei conti di Molise. Pur mancando ai giorni nostri alcuna vestigia visibile, la sua secolare storia emerge attraverso le numerose fonti d’archivio. La presenza, all’interno della chiesa parrocchiale di S. Cristina di Sepino, di un corpus documentario di oltre cento edicola che ricorda dove si trovava il Monasteropergamene dei secoli XII-XV, delle quali ben 37 inerenti il complesso monastico in oggetto, ha spronato per avviare e portare a compimento un organico lavoro di esegesi archivistica, storica, topografica e d’indagine sul campo. La prima attestazione documentaria dell’ente, ubicato in monte Sepini, risale al 1143. Una succesiva cartula datata 1159 ne definisce lo status giuridico. La concessione di libertas dichiarata nel documento da Ugo de Molisio qualifica S. Croce quale ‘Eigenkloster’, ovvero un monastero di fondazione laico-nobiliare. Nel 1186, difatti, Andrea Boianensis episcopus riconosce per mezzo di un privilegium libertationis che S. Croce è libera rispetto all’autorità diocesana.

 

Nel XIII secolo il monastero accresce ulteriormente il suo patrimonio; accanto alle proprietà fondiarie, boschive ed edilizie, amplia i suoi beni anche extra-tenimentum presso Cusano Mutri, Cerreto Sannita, Gioia Sannitica, Pietraroja, ed ottenendo le esenzioni del plateaticum (vendita e comprenvendita di prodotti) nelle piazze di Campobasso e Campodipietra. Riceve infine la donazione di alcune strutture ecclesiali private del territorio sepinese: S. Giovanni (nei pressi di Collarso) e S. Angelo (intra mœnia). Dopo alterne vicende, alla fine del XIII secolo, il monastero è assoggettato all’autorità diocesana, le donazioni vengono meno, e il patronato dei de Molisio sembra vacillare allorquando, nel 1287, il priore chiede il riconoscimento dei beni e dei diritti precedentemente acquisiti. Bisognerà attendere gli anni 1429 e 1431 perché si precisi, con chiarezza, la regola seguita dai monaci di Passo S. Crocella: …ordo Sancti Benedicti. Fonti più tarde, oggi sottoposte a verifica, menzionano S. Croce quale istituto fondato ed assoggettato ai padri templari: Era tal ven.(erabile) Monistero della soggezione de’Padri Templarj, che in copiosa famiglia lo abitarono fino ai tempi di Clemente Quinto Sommo Pontefice e di Filippo il Bello Re di Francia, in tempo dei quali ne fu abolito il nome, e solennemente proscritta la regola.

 

Tra alterne vicende, nel 1584, il monastero cessa di essere un ente giurdico a se stante; riportato nelle fonti del tempo come chiesa diruta di S. Croce, è annesso alla chiesa di S. Cristina.

 

Al pari dei documenti pergamenacei e cartacei, la documentazione cartografica ha contribuito ad identificare con buona precisione l’area dove sorgeva il complesso monastico medievale. Così, accanto alla cartografia del Regno di Napoli, che pure dal XVII secolo continuava a perpetuare il toponimo, un nutrito gruppo di piante catastali concernenti secolari controversie confinarie con il contermine territorio campano, ha offerto una più chiara lettura del territorio ‘Montagna’. Diversi gli agrimensori che si profusero, in epoche e con fini diversi, alla composizione di piante topografiche; tre di questi si resero anche autori di platee: Giovanni di Vita Beneventano, Francesco Germieri e Benedetto Ferrante. La progressiva quanto irreversibile instabilità del toponimo desunto dal lavoro degli agrimensori (Chiesa diruta S. Crocella; Capella diruta di S. Croce; Casalino S. Crocella; Macera di S.ta Croci), si affianca all’altrettanto chiara rappresentazione delle forme architettoniche dell’edificio, nel mutare continuo delle dimensioni, come degli articolati volumi.

 

I dati ricavati dalla ricerca d’archivio sono stati poi sottoposti a verifica mediante la pratica della ricognizione archeologica. La scelta dell’area della ‘Montagna’ di Sepino come luogo d’indagine hanno condotto lo scrivente a circoscrivere la ricerca all’interno di un ambito cantonale ben delimitato e gravitante intorno al passo montano, di confine tra le regioni Molise e Campania, denominato Passo S. Crocella. L’azione sistematica di ricognizione di superficie, corroborata da una significativa tradizione orale ancora viva sul posto, ha verificato la sostanziale attendibilità e coerenza dei dati emersi dalle fonti, acclarando la più che verosimile ubicazione del monastero.

 

Giunti al passo, la presenza di un’edicola commemorativa con iscrizione incisa costituisce un forte indizio topografico circa la posizione del complesso. Particolarmente meritevole d’attenzione è poi una strada carrareccia lastricata. Il tracciato doveva probabilmente servire da collegamento strategico verso centri diversi e annodarsi a percorsi consolidati da tempo.

 

Dai dati ricavati emerge con forza l’importanza che il complesso monastico di S. Croce assume per il territorio di Sepino e per quello molisano in generale. Nonostante il comparto territoriale sepinate risulti dopo decenni di attività e ricerca uno tra i più noti dell’antichità classica (Terravecchia, Sæpinum, San Pietro di Cantoni), la ricerca sulle fonti medievali e moderne hanno apportato nuovi, significativi, contributi. Dal periodo della sua fondazione sino a tutto il XIII secolo il cenobio della valle del Moschiaturo attraversò un periodo di floridezza economica che lo portò a rivestire un ruolo di primissimo piano nel panorama ecclesiastico molisano e di fuori regione. Nel determinare le cause che concorsero alla scelta del luogo ove ubicare il complesso monastico non possono prescindersi, accanto alle esigenze prime legate all’autosufficienza e ad una logica di tipo difensivo, quelle connesse ai sistemi di collegamento infrastrutturale, oltre che con i centri limitrofi e con il castrum di riferimento, il castellum Sepini, anche con le innumerevoli proprietà di cui S. Croce si rese possessore. Controllando numerosissimi possessi fondiari, boschivi, edilizi ed ecclesiastici, è impensabile che i monaci di passo Crocella non si fossero assicurati rapidi e favorevoli collegamenti stradali. Difatti, la sua collocazione topografica a quota 1.219 non avrebbe di certo aiutato a trarre profitti e facilitazioni in termini sia di approvvigionamento, che di natura economica, qualora, come si suppone, non avesse trovato sul posto un benché minimo sistema di infrastrutture tali da incoraggiarne la fondazione e garantirne una mobilità su larga scala che le permettesse, attraverso i tornaconti derivanti dai pedaggi, commerci intermontani, uso della proprietà boschiva, contratti agrari, affitti, taglio del legname, pastorizia e pascolo, lo sfruttamento delle risorse naturali circostanti. Sappiamo poi, come anche le proprietà fondiarie, le terre irrigue e i mulini bannali posti nella fertilissima “conca”, con il tratturo che l’attraversa da un capo all’altro ad agevolarne le comunicazioni, assolvessero tale scopo.

 

Il binomio chiesa-diramazioni stradali, raccogliendo un testimone già noto nella devozione classica, farebbe dell’edificio religioso un punto di riferimento stabile nel paesaggio che assicura la sopravvivenza di un’antecedente rete viaria. Il rinvenimento di alcuni materiali di età classica, tra i quali uno spezzone di colonnina marmoreo, non escludono né il reimpiego di spolia (elementi architettonici ricavati da una struttura più antica) da un centro noto (Sæpinum), né l’esistenza di una costruzione più antica in luogo di quella medievale.

 

L’edificazione di S. Croce può dunque supporsi contrario, costituirebbe un passaggio obbligato per risalire dal tratturo agli alti pascoli del Matese.

 

La recente scoperta di un tracciato viario di età classica nell’alta valle del Fortore può ricollegarsi alla presente trattazione poiché si relaziona non solo con l’abitato di Sæpinum, ma anche, e ancor più, con il passo di S. Crocella. I ruderi di una struttura di attraversamento fluviale emersa dopo l’alluvione del 2001 in loc. Morgia del Ponte di Tufara, sino ad oggi ritenuta di epoca medievale, ha dato modo di rivedere gli studi effettuati sulla viabilità antica del territorio delle valli del Fortore, Tappino e del Tammaro. L’esistenza del ponte, dunque, doveva ricadere su un preesistente tracciato viario, il quale, provenendo da Aecæ (Troia) e superando il corso del Fortore, si sarebbe diretto verso la valle del Tappino sino ad un passo montano, Rua di Ielsi, compreso tra la montagna Monteverde di Vinchiaturo e quella di Cercemaggiore, per poi scendere nuovamente verso valle in direzione della piana di Sepino, attraversare la città romana, e valicando il passo di S. Crocella, raggiungere il municipium di Allifæ. A maggior ragione, il rinvenimento nell’area di S. Crocella di un tratto di strada basolata scoperta in occasione dei lavori per il metanodotto, rafforzerebbe l’ipotesi.

 

Alla luce di quanto emerso occorre pertanto chiedersi se valga ancora la pena di sostenere la tesi che associava il monastero di S. Croce a un’isolata e marginale fondazione eremitica montana.

 

Ad oggi intuizioni e problematiche evidenziatesi nel corso della ricerca richiedono verifiche immediate e riscontrabili con la sola attività programmatica dello scavo archeologico.

Tratto da: Walter Santoro, Il Monastero di Santa Croce in territorio di Sepino. Indagine storico-topografica, Campobasso 2006